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il campo. | 243 |
e il vivandiere si volge: — Che facciamo laggiù? — Comparisce un uffiziale, silenzio profondo; sparisce, daccapo il baccano. Intanto, nel passaggio aperto fra le tavole si forma una calca di due processioni opposte, di chi viene col gamellino a tor del vino, e di chi se ne va col gamellino ricolmo gridando: — Largo! — e bestemmiando e imprecando il malanno a chi non cede il passo e glie ne fa traboccare una stilla. Attorno alla vivandiera s’è già formato un cerchiolino di caporalotti; quello della terza compagnia, fra gli altri, che è così bellino e così sfacciatello; e il marito lo sa, e non tralascia di lanciargli certe occhiate di sotto in su che paiono sassate; e la vivandiera non manca di far gli occhiolini soavi ai suoi prediletti; e il marito vorrebbe protestare; ma gli affari della bottega vanno bene, e -questo si deve anche un po’ alle moine di quella briccona. — Chiudiamo un occhio, egli pensa, finchè vengono i quattrini. — Un soldato s’avvicina al banco. — Che cosa vuoi? — Un bicchierino di rum. — Eccolo, paga. — To’, e porge un biglietto. — Non cambio io; non ho quattrini. — E io come faccio? — Oh bella, ingegnati. — E il povero soldato se ne riman lì, grullo, confuso, a stropicciare il biglietto colle dita, a sogguardare il bicchierino con un visaccio imbronciato. Poi s’allontana lentamente: — Noi ci pagano colla carta, noi; e dire che la moneta c’è! Ma se la intascano tutta quelli che vanno a cavallo. —
Cinquanta passi più in qua, un altro quadro. È un capitano che radunò una cinquantina di soldati della sua compagnia, quanti gli venne fatto di trovarne là attorno, li ha disposti in circolo, e, dopo detto che il dì vegnente s’avrà da camminar di molto e che il primo che rimarrà a mezza via ei lo farà mettere ai ferri corti, fece recare in mezzo una botticella di vino, e, adoc-