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242 | il campo. |
(di quello che mangiano gli ufficiali, capite); altri stavan seduti a cavalcioni delle sbarre dei carri a fumarsela in santa pace; altri, vestiti di certe giubbe di tela cadenti a brani, a cui non restava di bianco altro che il passato, si affaccendavano attorno ai fornelli e alle marmitte spezzando col ginocchio e ammonticchiando rami, stoppie e fuscelli per la cucina; e in ogni parte si levava un gridìo, un frastuono misto d’urli e di canti e, un mormorìo continuo e diffuso.
Quanti bei quadri, chi li sapesse ritrarre con pennello fedele!
Là in fondo al campo, nel mezzo del lato opposto alla via, il vivandiere ha disposto i suoi tre carri a foggia di tre lati d’un trapezio, l’apertura volta verso il campo; ha disteso una tenda rappezzata e lacera fra i due carri laterali, ha rizzato in piè due o tre tavole, e due o tre pancaccie nere e squilibrate; ha posata un’imposta d’armadio sopra le due botti più alte, e n’ha fatto un banco; gli ha messo dietro la botte più larga e v’ha allogata sopra la moglie; ha teso fra due raggi di ruota una cordicella unta e bisunta e ci ha appesi certi così lunghi, neri, crostosi, che vorrebbero dare ad intendere d’essere salami masticabili e ingoiabili senza pericolo di morte; ha messo in vista, per eccitare la ghiottoneria dei soldati, un paio di cestelle degli erbaggi migliori, un gran piatto di polli spennacchiati e macilenti, un gran pezzo di carnaccia cruda, e una filatessa di fiaschi, di bottiglie e bicchieri, e sigari pregni d’olio e fogli di carta da lettera odorati di chi sa che, e poi: — Avanti, ragazzi! Qui si mangia da crepare — Può darsi.
Le panche son tutte ingombre; le tavole coperte di bottiglie e di bicchieri; si gioca alla mora, si canta, si grida, si zufola, si strepita; i bicchieri di tratto in tratto danno un gran tentennio e cozzano l’un contro l’altro,