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la sentinella. 231

aprir reverente, un porger rispettoso di mani, uno strascicar lungo di vesti, uno scoprirsi di teste azzimate, un incurvarsi di schiene, un giungere e uno scappar incrociato di servitori dalle assise sfoggiate e bizzarre. Ecco, s’avanza una carrozza stemmata; si ferma; i cocchieri precipitano a terra; tutti si fanno intorno; dieci mani si gettano a gara sulla maniglia dello sportello; una mano fortunata lo afferra; lo sportello si schiude; la folla degli accorsi si apre in due ali, a destra e a sinistra; i colli si allungano, gli sguardi si tendono; spunta una testa, un piedino, una manina vestita d’un guanto candido; un’altra mano si stende di mezzo alla folla e la stringe timidamente per la punta delle dita; — giù il piedino, — adagio, — con riguardo, — ancora un po’, — un pochino ancora, il piedino è a terra. Oh bellino! Guai se toccava un fiocco di neve! Ma è rimasta dentro la coda della veste. Oh sventura! Si sarà attaccata ad un chiodo, chi sa! Presto, accorrete, in due, in tre, in quattro: — dove s’è attaccata? — qui — no — là — piano — con garbo — delicatamente — cerca, cerca — ah! ecco. La coda è libera, lo strascico è giù, ella è in piedi. La stupenda figura! Largo, indietro, miratela. Un cappuccio indiscreto non consente all’occhio che pochi tratti di quel caro viso; è un viso d’angelo! Una zimarra gelosa ruba agli avidi sguardi i bei fianchi e le candide spalle; ma ne lascia indovinare, sotto le pieghe, le forme: elle son divine! La bella figura incede mollemente, — svolta, — mette il piè sulla scala, — ancora un lembo di veste, — è sparita. Peccato! Ma l’occhio della mente la segue in mezzo alla folla inebriata di quelle sale rumorose; fra tutte le altre belle teste ornate di gemme e di camelie l’occhio della mente distingue le sue trecce e i suoi fiori, e le tien dietro nei rapidi voli della danza, e in mezzo a