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222 quel giorno.

solcata qua e là da lunghe e sottili strisce bianche, che s’intersecavano in molti punti e si perdevano fra gli alberi lontani, sollevando in certi tratti grossi nuvoli di polvere che apparivano, percossi dal sole, candidissimi, e si allungavano lentamente nella direzione delle vie; quelle strisce bianche erano le vie che avevamo fatto il mattino; quei nuvoli rivelavano l’avanzarsi di alcune colonne italiane. Poche casuccie qua e là, mezzo nascoste fra gli alberi, com’avessero paura, e non volessero vedere che cosa accadeva lassù. Di sotto poi, proprio sotto, spettatrice avanzata e silenziosa, Villafranca. Dall’altra parte, verso i nemici, certe macchie scure in mezzo al verde dei campi ed uno sfolgorìo interrotto di baionette, che ora si avanzavano, ora sostavano, ora accennavano a destra, ora a sinistra, quasi fossero incerte sul dove dirigersi e procedessero circospette. Più presso a noi, sempre sul piano, cinque, parevano, o quattro cannoni austriaci che faceano un trarre continuato e lento. Dalla parte opposta, e proprio ai piedi del nostro colle, tiravano continuatamente come i primi, ma più a rilento, altrettanti cannoni dei nostri. Dietro a noi, alle falde d’una collina vicina, si vedeva un denso fumo bianco e crepitava un rapido fuoco di fila; era l’ala estrema d’un’altra divisione. Null’altro vedemmo, o, almeno, null’altro mi ricordo d’aver veduto. Stavamo là ad aspettare, contemplando quello spettacolo meraviglioso.

Nei momenti di profonda concitazione, quando ci freme dentro la mente, qualche affetto supremo, spesse volte, quasi inconsapevole di ciò che segue nel cuore, si distrae a poco a poco da se stessa, e vaga e si abbandona dietro le immagini e i pensieri più fanciulleschi e più strani, come se quella che scorre fosse un’ora della vita consueta, un’ora oziosa e tranquilla.