Pagina:De Amicis - La vita militare.djvu/227


quel giorno. 219

da tanto tempo preparato nelle viscere, ma compresso, soffocato, strozzato, venne su, si sprigionò, eruppe, dal più profondo dell’anima, selvaggiamente lungo ed acuto.

La schiera vincitrice sostò un istante, poi riprese l’andare, incalzò i fuggenti, si allontanò dietro a loro, si fe’ piccina piccina, si fe’ un punto nero, disparve.

In quel punto una voce alta e vibrata risuonò in mezzo a noi: — A voi altri adesso! Al posto! —

Era la voce del nostro maggiore.

Provate a lasciar cadere un pezzo di carta in fiamme sopra uno di quei formicai larghi e fitti, che lontani un passo vi sembrano immobili, e rendono l’immagine d’una macchiaccia nera, di cui non si sa a primo aspetto distinguere la natura. La piccola turba atterrita si sconvolge in tutti i punti vertiginosamente, si getta in furia ai varchi sotterranei. Avventurose le prime! Le altre si serrano, si urtano, si accavallano; quel varco è chiuso? presto ad un altro; anche questo? via, ad un terzo; chiuso anch’esso? di nuovo al primo. E poi che la più parte si sono cacciate alla rinfusa nel covo, molte, sfortunate! errano ancora disperate di qua, di là, alla cieca, in cerca d’uno scampo, da un buco ad un altro, già più morte che vive, finchè trovano anch’esse un po’ di posto al sicuro, benchè un po’ tardi e forse a prezzo di qualche scottatura.

A parte il terrore, così accadde al sonar di quella voce fra quei soldati.

In un lampo tutti su, tutti in armi; gli ordini si ricomposero precipitosamente; un gran fermento, un gran bisbiglio, un gran serra-serra; poi quiete. Qualcuno corse ancora qua e là in cerca del suo posto; chi lo trovò, vi si spinse; chi nol trovò, a forza di gomiti, sel fece: tutti al posto.