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tenente e tentò, come sempre, d’abbracciarlo mormorando con voce fievole le solite parole.

— Carmela! — disse il tenente — ti abbiamo a dare una notizia.

— Una notizia, una notizia, una notizia, — ripetè soavemente Carmela facendo scorrere tre volte la palma della mano sulla guancia dell’ufficiale.

— Domani vado via.

— Domani vado via?

— Io, io vado via. Vado via di qui. Lascio questo paese. Parto con tutti i miei soldati. Salgo sul bastimento, e il bastimento mi porta lontano lontano. —

E alzò un braccio come per indicare una grande distanza.

— Lontano, lontano.... — mormorò Carmela guardando dalla parte cui aveva accennato l’ufficiale. Parve che pensasse un istante, e poi disse, così in aria, coll’accento affatto differente: — Il bastimento a vapore.... che fuma. —

E tentò un’altra volta di abbracciar l’ufficiale chiamandolo coi soliti nomi.

— Nulla! — questi pensò scrollando il capo.

— Bisogna dirglielo molte volte — susurrò il dottore. — Aspettiamo a più tardi. —

E s’allontanarono dopo aver fatto una voce severa a Carmela perchè non li seguitasse.

La cena era stabilita per la sera del dimani. Quella stessa sera Carmela, com’era suo costume, s’andò a sedere dinanzi alla porta dell’ufficiale. Questi, appena tornato, la fece salire in casa, dove l’ordinanza, giusta gli ordini ricevuti, avea messo tutto sossopra come se la partenza dovesse seguire davvero. Il tavolino, le seggiole, il canapè erano ingombri di biancheria, di vestiti, di libri e di carte buttati là alla rinfusa, e in mezzo