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carmela. 197


E stese una mano per pigliar quella del dottore; questi gli si fece più accosto colla seggiola, e, commosso com’era da non trovar più parola, gli pose ambe le mani sulle spalle, lo guardò un istante e l’abbracciò.

Tutto ad un tratto l’ufficiale sciolse la testa dall’abbraccio dell’amico, alzò la faccia lagrimosa e lo fissò con uno sguardo in cui brillava il principio d’un sorriso. — Ebbene? — domandò l’altro con lieta ansietà.

— E se rinsanisse? — esclamò l’ufficiale col viso improvvisamente rasserenato; se ritornasse com’era una volta, se riacquistasse la ragione e il cuore come l’aveva prima, e quegli occhi perdessero per sempre quella strana luce e quella guardatura immobile che fa paura, e quella bocca non ridesse mai più di quel riso orribile, e un giorno ella mi dicesse da senno: — Ti ringrazio, ti benedico, caro, che m’hai ridata la vita; ti voglio bene, ti amo.... — e piangesse! Vederla piangere, sentirla ragionare, trovarla sempre linda, pettinata e composta come tutte l’altre fanciulle; e vederla tornare in chiesa a pregare, e arrossire come prima, e riprovare ad uno ad uno come per una seconda infanzia tutti gli affetti casti e soavi di cui ha smarrito il sentimento! La sera non trovarla più qui a piè della scala, doverla andare a cercare a casa, accanto a sua madre, occupata a lavorare, tranquilla, contenta.... Oh Dio mio, e se potessi dire che son io che l’ho mutata così, che l’ho fatta rivivere, che le ho ridato tutte le speranze e tutti gli affetti, che l’ho restituita alla famiglia, alla felicità.... Oh amico mio! — esclamava afferrandogli le mani e fissandolo cogli occhi pieni di pianto; — mi parrebbe di essere.... un dio, mi parrebbe d’aver creato qualcosa anch’io, di possedere due anime e di vivere due vite, la mia e la sua; mi parrebbe mia quella creatura, crederei che il cielo me l’avesse predestinata, e la