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carmela. 191


Un giorno, dopo aver fatte certe domande al sindaco, l’ufficiale aveva mandato a chiamare l’unico sarto del paese, poi s’era recato alla bottega dell’unico cappellaio e poi a quella dell’unico merciaio, e quattro giorni dopo era uscito a passeggiare sulla riva del mare tutto vestito di tela di Russia, con un ampio cappello di paglia e una cravatta di colore azzurro. La stessa sera, incontrandolo, il dottore gli avea chiesto: — Ebbene? — Nulla. — Nemmeno un segno...? — Nulla, nulla. — Non importa; perseveranza. — Oh! non ne dubitare.

Il ricevitore del paese aveva fatto per molt’anni il cantante e sapeva sonare vari strumenti. Un giorno l’ufficiale era andato a lui e senz’altri preamboli: — Mi faccia il piacere, — gli aveva detto; — m’insegni a sonar la chitarra. — E il ricevitore, cominciando da quel giorno, dava lezione di chitarra, mattina e sera, al tenente, e questi imparava a meraviglia, e in poco tempo s’era messo al caso di fargli l’accompagnamento quando cantava. — Lei deve avere una bella voce, — gli disse un giorno il maestro. E di fatto aveva una voce gentile. Incominciò anch’esso a imparare a cantare, e in capo a un mese cantava sulla chitarra le canzoncine siciliane con un garbo e una soavità ch’era un varo diletto a sentirlo. — Abbiamo avuto un altro ufficiale che sonava veramente bene anche lui! — gli diceva a volte il ricevitore. — C’è un’arietta — soggiunse un giorno — ch’egli cantava sempre..... un’arietta.... aspetti; ah come la cantava divinamente! Cominciava.... Se l’era fatta lui, sa; cominciava:

Carmela, ai tuoi ginocchi
     Placidamente assiso,
     Guardandoti negli occhi
     Baciandoti nel viso
     Trascorrerò i miei dì.