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gli fu accosto, gli si inginocchiò dinanzi, tirò fuori un fazzoletto e afferrandogli coll’altra mano una gamba sopra la noce del piede, si mise a spolverargli in gran fretta lo stivale mormorando: — Aspetta, aspetta, ancora un momento, un po’ di pazienza, caro; ancora un momento, ecco, così, adesso va bene....

— Carmela! — gridò severamente l’ufficiale tentando invano di sprigionare la gamba dalla sua piccola mano; — Carmela! —

Come fu libero s’allontanò di corsa. — Ma che non ci sia proprio nessun mezzo di rimetterle la testa a segno? — domandava poco dopo al dottore. — Mah! — questi rispondeva; — forse! Col tempo, colla pazienza....

VI.

Dopo un mese il dottore e il tenente erano amicissimi. La conformità della loro natura e della loro età, e più quel trovarsi assieme dalla mattina alla sera in un paese dove si può dire che non ci fossero altri giovani della loro condizione, fece sì che in poco tempo si conoscessero l’un l’altro intimamente e si volessero bene come amici antichi. Ma durante quel mese l’un d’essi, l’ufficiale, aveva mutato abitudini in un modo singolare. I primi giorni s’era fatto mandar da Napoli certi libroni, e la sera, per un par di settimane, non avea fatto che leggere e pigliar degli appunti e intavolar delle discussioni lunghe ed astruse col dottore, terminando quasi sempre col dire: — Basta; io credo che in questo caso i medici ci abbian poco o punto che fare. — Vedremo a che cosa riescirai, — rispondeva il dottore, e si dividevano con queste parole, per ripigliare daccapo la discussione l’indomani.