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frastagli di carta nei capelli, cogli occhi bassi, colla bocca stretta, movendo una mano come per agitarsi il ventaglio sul petto e dondolando mollemente la persona, facea la caricatura delle poche signore del paese quando vanno alla chiesa i giorni di festa. Tal’altra volta, raccolto dinanzi alla porta della caserma un berretto logoro buttato via da qualche soldato, se lo metteva e se lo tirava giù fino agli orecchi, vi nascondeva dentro tutti i capelli, e poi colle braccia tese e strette alla persona facea due o tre volte il giro della piazza, a passo lento e cadenzato, imitando colla voce il suono del tamburo, seria, rigida, tutta d’un pezzo, come un coscritto de’ più duri. Ma checchè ella facesse o dicesse, la gente oramai non le badava più. I ragazzi, e specialmente i monelli, erano i suoi soli spettatori. Però le madri badavano a tenerneli lontani perchè un giorno, contro ogni sua consuetudine e chi sa per qual ghiribizzo, essa ne aveva agguantato uno, un fanciulletto sugli otto anni, il più bello dei suoi spettatori, e gli avea dati tanti e così furiosi baci nel volto e nel collo ch’ei s’era spaventato e messo a piangere e a gridare dalla paura che volesse farlo morir soffocato.

Qualche rara volta entrava in chiesa e s’inginocchiava e giungeva le mani come tutti gli altri e borbottava non so che parole; ma dopo pochi momenti si metteva a ridere e pigliava delle attitudini e faceva dei gesti strani e irriverenti, così che il sacrestano finiva col venirla a pigliare pel braccio e condurla fuori.

Aveva una bella voce, e quand’era in sè cantava benino; ma dacchè gli aveva dato volta il cervello non facea più che un canterellare inarticolato e monotono, pel solito quando stava seduta sulla soglia di casa sua o a piè della scala della casa del tenente, mangiuc-