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un mazzolino di fiori. 171


Rividi il soldato, dieci o dodici giorni dopo, nel giardino pubblico. Era con molti altri suoi compagni, e discorreva forte e rideva. — Guarda là il soldato del mazzetto! — dissi a mia madre tirandole il vestito. — Zitto! — ella mi rispose; — non ci badare. — Non capii il perchè di questo comando; lo guardai; egli mi guardò fisso, mi riconobbe, fece un atto di gran sorpresa e disse: — Oh! — Mia madre mi tirò pel braccio e andammo inanzi. Dopo quel giorno non lo vidi più per un anno. L’anno dopo, una delle ultime notti di carnevale, tornato colla famiglia dal teatro, mi avvicinai, pochi momenti prima d’andare a letto, alla finestra, e stetti un po’ di tempo a guardare in strada a traverso ai vetri. La strada era buia, e nevicava. Di tempo in tempo, sbucavan maschere dalla casa dirimpetto, dove c’era un caffè e un’osteria, si sparpagliavano, s’inseguivano, sparivano, ne sopraggiungevano delle nuove, e le une colle altre incontrandosi e riconoscendosi si affollavano levando un diavolìo di grida in falsetto e ricambiandosi confusamente inviti e saluti. Comparve in quel punto una pattuglia di cavalleria. Le maschere si misero a ballarle intorno vociando e battendo le mani. I soldati, ravvolti nei loro grandi mantelli, passavano senza dar segno di vederle; ma uno di essi si voltò verso casa nostra, e parve guardare alla mia finestra. — Che sia lui! — pensai, ed apersi. Nello stesso punto il soldato levò una mano fuor del mantello, fece un saluto, e andò oltre. L’indomani seppi dalla portinaia che qualche giorno prima un soldato di cavalleria era entrato nel portico della nostra casa, aveva guardato un po’ la scala come incerto se dovesse salire sì o no, e poi se n’era andato. Pochi mesi dopo intesi dire che un reggimento di cavalleria era partito da Torino, e non rividi più il mio soldato, e non ci pen-