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di casa sua stesse male? Potrebbe darsi anche questo. Non li lascian mica andare a casa quando qualcuno della loro famiglia si ammala, non è vero, maggiore?

— È difficile — questi rispose.

— Vedete! — esclamò mia madre. — Scommetterei che è tristo per questo. — Che razza di logica ha il cuore!... — Ed intanto è condannato a star là in mezzo alla gente che si diverte, che canta, che grida... Non me lo posso levar dalla testa. —

Il maggiore sorrise.

— Che cosa vuole? ripigliò mia madre, — son fatta così. —

Compiuto il giro, la carrozza stava per ripassare dinanzi ai soldati. Mia madre, colto il momento che il maggiore e mio padre non guardavano, mi porse un mazzolino di fiori, mi indicò con un gesto rapido il suo soldato, e mi disse all’orecchio: — Gettaglielo. — Mi rizzai in piedi, e, trattenuto al solito per la sciarpa, mi atteggiai per gettare il mazzo. — Hai detto quello là, non è vero? domandai ancora una volta. — Sì, sì, e presto. — Ci mancavano sette od otto passi; la carrozza si soffermò, riprese la corsa, ci siamo... Animo! — disse mia madre. — Eccolo là — io gli risposi fieramente. Il mazzolino avea descritto una bella curva nell’aria, ed era caduto proprio sul petto del soldato, fra il fermaglio del cinturino e la mano che teneva le redini. Quegli si scosse come da un sogno, afferrò quasi involontariamente il mazzetto, alzò gli occhi in atto di viva sorpresa, mi vide, lo salutai con tutte e due le mani, egli sorrise, e mi guardò fisso fin che la carrozza sparì. Il mio piccolo cuore batteva forte forte; mia madre si era rasserenata; il maggiore e mio padre non avevano visto nulla. Prima di compiere un’altra volta il giro, uscimmo dal corso, e andammo a casa.