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166 un mazzolino di fiori.

contendevano a pugni i coriandoli e i fiori sparsi sul lastrico con gran rischio di restare schiacciati dai cavalli e con gran noia dei cocchieri che per andare innanzi dovevano spolmonarsi a gridare che si badassero e facessero largo. Uno dei soldati che percorrevano la strada, dopo averli ammoniti e sgridati cinque o sei volte, visto che facean sempre peggio, perdette la pazienza, spronò il cavallo verso di loro e alzò la sciabola come per dare un colpo di piatto, che in nessun caso, sicuramente, non avrebbe mai dato. Un signore che m’era vicino, vedendo quell’atto, esclamò: — Eh! — E quando il cavaliere si rimise la sciabola contro la spalla, soggiunse: — Avrei un po’ voluto vedere. — E poi, volgendosi verso un suo vicino: — Frutti dell’educazione: prepotenza e brutalità. — Mi si rimescolò il sangue; alzai una mano, la ritenni, la cacciai in tasca, e con tutta la calma di cui fui capace e col più cortese accento che potei metter fuori mormorai nell’orecchio a quel signore: — Quale educazione? — Si voltò, fece un atto di sorpresa, impallidì; ma si rinfrancò tosto e rispose con insolente scioltezza: — L’educazione militare. — Io non vidi più nè lui, nè la folla, nè il corso, e non mi ricordo neanco più quel che gli dissi e quel che mi rispose; non so altro che l’indomani mattina tornai a casa con una mano ferita, e i miei amici mi dissero che quel signore aveva la guancia sinistra divisa in due. Ecco tutto. Or ora io stava dicendo che la mia mano non serba più segno della scalfittura, e che quell’altro signore sta meglio. —

La signora che fino allora era stata a sentire con gran serietà, alzando di tratto in tratto gli occhi al cielo ed esclamando: — Dio mio!, — si rallegrò con gentili parole dell’esito fortunato del duello, e poi usci fuori improvvisamente con una domanda... da donna: — Ma lei per-