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una marcia notturna. 161

ragione, è un paese. — La voce si propaga; i sonnecchianti si scuotono; i dormenti si svegliano; nasce un po’ di bisbiglio. — Oh! benedetto il cielo; ecco le case, ecco la via d’entrata, eccoci entrati. —

L’ora è tarda; le vie son quasi deserte; lo scalpiccìo del reggimento echeggia distintamente in quella solitudine, e il bisbiglio si spande a destra e sinistra per le vie torte ed oscure. Casupole di qua, casupole di là, e tutto chiuso, sbarrato, come se fosse un villaggio abbandonato. Ma a misura che si procede, a manca e a dritta della via, a pian terreno, si schiude a mezzo qualche porticina per cui si vedono luccicar dentro i focolari, e affacciarsi e sporger fuori timidamente la testa qualche donnicciuola già spogliata a mezzo, e accorrere fuori della soglia i fanciulli, e ai piani di sopra aprirsi qualche impannata, e tralucere l’interno lume, e apparir dietro i vetri una figura nera che guarda giù che cos’è l’insolito tramestìo... Ah! quella figura nera sarà scesa allora allora dal letto, dove dormiva e tornerà tra breve a dormire saporitamente i suoi sonni queti e soavi! Oh quel letto! Par di vederlo, par d’avere sott’occhio la rimboccatura delle lenzuola fatta e distesa sul capezzale, e di passarci la mano su, e di sentir la fragrante freschezza della tela pur ora uscita di bucato. Oh fortunato chi dorme là entro! Oh quando riavrò il mio letto anch’io! Felici, beati tutti coloro che hanno un letto!

La via, prima torta ed angusta, si fa dritta a poco a poco e si allarga, — si allarga, — ecco, sbocca in una piazza. La bella piazza! Due file a destra, due file a sinistra: tutti guardano intorno. Qua e là gruppi di curiosi, qualche bottega aperta, lì una chiesa, là la casa del sindaco, una fontana, un porticato, e laggiù... Oh, guarda, guarda: un caffè!


De Amicis 11