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una marcia notturna. 159

cosa d’umido e di molle..; ma che monta? La voluttà del sonno è così cara, così dolce, così potente, che non si può badare ad altro che a goderla intera e ad abbandonarvisi anima e corpo. Oh la dolcezza d’un lungo e tormentoso bisogno finalmente appagato! In tutte le membra si insinua e si spande un senso di piacer languido, uno sfinimento soave... Oh che delizia! dormiamo.

Se su quel punto della strada battesse per un momento il raggio della luna, oh che quadro bizzarro ci si offrirebbe allo sguardo! Gli è come un mucchio di cadaveri buttati là alla rinfusa: altri supino, altri bocconi, altri disteso, altri rannicchiato, e qua e là braccia e gambe e piedi e fucili che spuntano di mezzo alle gambe e alle braccia d’altrui; una mescolanza che, a distinguervi membro per membro cui appartenga, ci sarebbe un gran da fare. Sulle prime, in quel mucchio di corpi, succede un po’ di movimento, un po’ di rimescolìo; ciascuno cerca, dimenandosi lievemente, la più comoda positura, e ne nasce un po’ di litigio. — Fatti in là, sangue di Bacco! — Via quel piede! — Tira in là cotesta gamba; o non vedi che me la dai sul muso? — Ma gli è l’affar d’un momento, e poi tutti zitti. Un sonno pieno e profondo s’insignorisce di tutti. Dapprima si sente un respirar grosso e frequente; poi come un sospirar fievole ed interrotto; poi un gemere sordo e arrantolato; infine un russar generale su tutti i tuoni, bassi, baritoni, soprani, consonanti e dissonanti, striduli e sonori, una musica d’inferno.

Uno squillo di tromba; è l’attenti.

Di quel mucchio nessuno l’intende, nessuno si muove; tutti quieti, immobili, come corpi morti. Un altro squillo; e niente; immobili come prima. — Vi farò alzar io, adesso! — tuona sui dormenti una voce minacciosa. A quella voce, ecco là una gamba si stira, qui si