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158 una marcia notturna.

Bada ove vai. — Sfido io, cammina a occhi chiusi. — L’hai? tientela.

Dopo un altro po’, scroscia una gran risata alla coda della compagnia, e un: uh! prolungato in tono di corbellatura. — Cos’è stato? Che è accaduto? Chi è? — È un povero diavolo che camminava sull’orlo della via, e sonnecchiava e tentennava e finì col rotolar giù nel fosso. — È profondo? — Ma! chi ci vede? — Guardiamo. — Animo, animo, (un uffiziale) che fate lì? Andate oltre. S’alzerà da sè. E voi, volete tener alto quel lume?

E silenzio, e avanti, e sempre buio, e sempre quella brezzolina gelida, mordente, uguale, che batte molestamente nel viso e mette un brivido che par d’esser d’inverno.

— Oh che sonno! Che ora sarà? Le dieci, forse; fors’anco di più. Che notte! Non ci si vede nulla. Ohè, di’, amico, quanto tempo è che si cammina?... Parla, oh; quanto tempo? Dorme, non sente; a momenti si rompe il collo... Ho sonno anch’io. Ah! non poter dormire! E gli è un po’ di tempo che si va! Che noia non ci veder nulla! Se si potesse dormire in piedi... Ho da provare? Che sonno, Dio mio, che sonno... che sonno... la notte è buia... buia... e il vento... dormire...

Ancora un momento, e cadrà nel fosso. Uno squillo di tromba. Alto. L’ha scampata. Giù tutti, come corpi morti; si casca dove si casca, sulle pietre, tra le spine, nel fango, dove che sia: tutto è comodo, tutto pulito tutto soffice, tutto delizioso. Lì, sopra un mucchio di sassi, dall’un lato della via, s’è rovesciata, d’un sol colpo, tutta una squadra, l’un sull’altro, l’uno attraverso dell’altro; la canna del fucile sotto la schiena, la borraccia di un compagno sotto la testa, un piede del caporale di squadra contro la faccia, lo zaino d’un altro compagno contro un fianco; la mano, talvolta, fra l’erbe, dentro qual-