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il coscritto. 147

alto della caserma e un po’ più in là della piazza d’armi. E poi, già, si fa l’abitudine a tutto. Lo zaino, da principio, oh che peso, mio Dio! oh che tormento; dicono tutti così; e poi, a poco a poco, poh, diventa una cosa da nulla. E il mangiare? Non si mangia mica da principi, si sa; anzi, qualche volta, a voler essere schietti, si mangia maluccio; ma bisogna aver pazienza, pazienza e sempre pazienza, che è la gran virtù del soldato; e non lamentarsi e piagnucolare, come fanno certuni, a diritto e a torto, di tutto e di tutti; ma mangiare quello che c’è e contentarsi del poco. E poi l’appetito, quando si lavora, si fatica, si fa il proprio dovere e si ha il cuore contento, l’appetito non manca mai, e l’appetito è un gran cuoco. Sono gli svogliati e i poltroni che trovano a ridire su tutto e non si contentano mai. Io vedo che i bravi giovani fanno tutti il soldato volentieri, perchè i superiori li vedon di buon occhio, i compagni li stimano, quei del paese li rispettano, e ce n’è di quelli che in cinque anni ch’han fatto il soldato non sono stati un giorno ch’è un giorno in consegna e han lasciato il loro numero diciotto bianco e pulito come un fazzoletto di bucato; e tu sarai uno di questi, non è vero? —

Il soldato accennò vivamente di sì.

— Benone. E non credere poi che sia tutto spine il nostro mestiere; c’è anco dei fiori per chi li sa cercare, e i bravi soldati li trovano. Impara a fare il tuo dovere per bene, sii sempre pulito, rispettoso e di buona volontà, e dal tuo capitano e dai tuoi ufficiali ti sentirai dire certi: bravo! che ti suoneranno in fondo al cuore, e ti cresceranno l’appetito e l’allegria. E i giorni ti passeranno presto. Poi, in cinque anni, non si sa mai che cosa possa accadere, potrebbero anche farci cambiar dieci volte di guarnigione, e allora il tempo vola che i mesi paiono giorni. Vedrai dei nuovi paesi; città,