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140 | il coscritto. |
La vivandiera sorrise e se n’andò. Il caporale, guardandolo e scrollando la testa in aria di compassione sprezzante, gli andava ripetendo: — Ah marmotta!... marmotta! —
E poi, alzando tutt’ad un tratto la voce: — Bisogna svegliarsi, mio caro, e presto, chè se no vi sveglieremo noi, ve lo assicuro io, e come! Consegne e pane ed acqua, pane ed acqua e consegne, alternati, tanto per non annoiarvi. Tenetevelo bene a mente. E adesso andate al vostro letto a ripulir le vostre robe, marche!
E rinforzò il comando alzando il braccio coll’indice teso verso le finestre del dormitorio.
— Ma io....
— Silenzio!
— Io non....
— Tacete, vi dico, quando parlate coi vostri superiori; o la prigione è là; la vedete?
E s’allontana brontolando: — Oh che gente! Oh che gente! Povero esercito! Povera Italia!
— Signor caporale!... esclama timidamente il coscritto.
Il caporale si volta e gli accenna di nuovo la prigione facendo un par d’occhi terribili.
— Vorrei domandarle una cosa. —
L’accento era così peritoso e sommesso che non si poteva proprio a meno di lasciarlo parlare.
— Che cosa volete?
— Vorrei domandarle se lei sapesse che qui in questo reggimento c’è un ufficiale del mio paese, che ci dev’essere, ma che io non so se ci sia....
— Del vostro paese? Se al vostro paese son tutti di cotesto stampo, c’è da augurarsi che nel reggimento non ci siate che voi. —
E scrollando le spalle se n’andò via.