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138 il coscritto.

uscivano, e quando nessuno passava teneva gli occhi immobili a terra. Aveva l’aria d’uno di quei buoni figliuoli, che si staccano bensì con molto dolore dalla famiglia e dal villaggio dove son nati; ma vengono a fare il soldato coll’animo pieno di rassegnazione, di serenità, di buon volere: — e perchè c’è tanto di legge stampata che parla chiaro, e sulla lista attaccata alla porta della comunità c’era il loro bravo nome e cognome scritto per disteso, e i loro vecchi ci sono andati, e i loro compagni ci vanno, e in fin dei conti poi perchè è il loro Re che li chiama, e non c’è niente da ridire e non occorre cercar più in là. — Ma sul suo viso c’era qualcosa di più di quell’espressione tra il pensieroso e l’attonito che è propria dei coscritti nei primi giorni; c’era della malinconia. Forse s’era pentito di non aver voluto uscire cogli altri. Di domenica, quando fa bel tempo, a stare in casa si prova sempre un po’ di tristezza.

A poco a poco il quartiere rimase deserto, e vi fu un silenzio perfetto.

Un caporale in montura di fatica, attraversando frettolosamente il cortile, vede il coscritto, si ferma e gli domanda bruscamente:

— Che cosa fai costì, colle mani in mano?

— ....Io? — il coscritto risponde.

— Io? — ripete il caporale strascicando con affettazione la voce e facendo un viso di stupido. — Quest’è curiosa! A chi parlo adesso? alla luna? Sì, proprio tu. E levati in piedi quando parli coi tuoi superiori. —

Il coscritto si leva in piedi.

— Chi sei tu? Di che compagnia?

— .... Compagnia?

— Compagnia? — domanda alla sua volta il caporale in tono di canzonatura. — Ma sai che sei un gran testa di rapa, tu? —