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il figlio del reggimento. 135

contorni e da una certa boccuccia piccina piccina, poteva interpretarsi per la testa d’un fanciullo.

— Chi avete voluto fare con questo sgorbio? — domandai.

All’udir la mia voce, tutti gli altri s’alzarono in piedi.

— Chi avete voluto fare? — domandai un’altra volta.

— Carluccio.

— Carluccio è morto.

— Oh! — esclamarono tutti ad una voce guardandosi l’un l’altro.

— Già, proprio morto, povero ragazzo, a causa di quelle maledette febbri. Ecco, questa è una sua lettera ch’egli scrisse qualche giorno fa, ed è diretta a tutti i soldati della compagnia. Prendete, caporale, e leggetela. —

E mi trassi in disparte. Tutti si strinsero tacitamente attorno al caporale e questi cominciò a leggere. Non ne aveva letto ancora due righe che passò la lettera ad un altro, e cavò di tasca il fazzoletto; la più parte degli altri soldati fecero lo stesso.

— Buoni ragazzi! — io pensavo intanto guardandoli da un angolo del camerone. — Carluccio non c’è più, Carluccio è morto; avete tutti perduto un amico che amavate e che vi amava; è vero, poveri ragazzi, pur troppo; anch’io ne soffro nel più vivo del cuore; ma.... Ebbene, e io amerò lui in voi; tutta quella parte di affetto ch’io portava a Carluccio, d’ora innanzi l’avrete tutta voi altri...; vi amerò più di prima. E tu, o povero Carluccio, assicurati che la tua memoria non si perderà mai più fra di noi; io ti giuro in nome di tutti i soldati che amasti e che t’amarono, ti giuro che il tuo nome rimarrà legato alla bandiera del nostro reggimento come una tradizione preziosa, la quale ci terrà sempre vivo nell’anima il culto degli affetti gentili e una mesta pietà degli infelici.