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il figlio del reggimento. |
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o lento e svogliato rasciugava colla falda del cappotto le
armi. E intanto la strada formicolava di soldati che si avviavano
verso Cerlungo; molti, guardando di qua e di
là con un viso tra l’attonito e il disgustato, passavan
oltre; altri si fermavano accanto al muro, gettavano trascuratamente
lo zaino a terra e vi si lasciavan cadere su
con una specie d’inanimato abbandono; di tratto in tratto
qualcuno di que’ che giacevano, appuntellando i gomiti
in terra, si levava con grande sforzo in piedi, e il primo
soldato del suo reggimento che gli venisse fatto di veder
passare, con quello s’accozzava e si rimetteva in cammino.
Alle porte delle poche botteghe ch’erano aperte,
un continuo affacciarsi di soldati, a tre, a sette, a dieci
alla volta, e un chiedere insistente se vi fosse qualcosa
da mangiare, ch’essi l’avrebbero pagato, s’intende, e
tendevan le braccia e allargavan le mani per far vedere
i quattrini. — No, giovanotti, — rispondeva dal fondo
della bottega una voce tutta pietosa, — mi rincresce,
non c’è più niente. — A un’altra bottega dunque; niente
neanco a questa; via, ad un altra; lo stesso. E via
così. Passando dinanzi a certe tane di caffè, si vedevano
molti ufficiali dormire colle braccia incrociate sul tavolino
e la testa appoggiata sulle braccia; sopra ogni tavolino
tre o quattro teste, e in mezzo bicchieri e bottiglie
e tozzi di pane sbocconcellati. Qualcuno, la testa abbandonata
sulla mano, guardava nella via coll’occhio fisso e
stralunato; erano faccie triste, pallide, stravolte come
dopo una malattia. Il caffettiere, ritto in fondo alla bottega,
colle braccia incrociate sul petto, stava osservando
gli uni e gli altri, tacito e pensieroso. Gli sbocchi delle
vie laterali erano ingombri di carri e di cavalli, intorno
ai quali si affaccendavano in silenzio alla rinfusa soldati
del treno e carrettieri borghesi. Intanto passavano per la
strada principale alcune batterie di artiglieria; quell’an-