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il figlio del reggimento. |
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Eravamo a pochi passi dal ponte di Goito. Pioveva. Mi
toccai i panni; erano fradici. Guardai in su; il cielo era
tutto velato da un nuvolone scuro, eguale, che prometteva
la pioggia per tutta la giornata. Guardai intorno,
pei campi; sempre soldati a stormi che procedevano lentamente,
coi capi dimessi, cogli sguardi a terra. Molti
di essi avevan sciolto la tela della tenda e se l’eran
posta in dosso a guisa d’uno scialle per ripararsi dall’acqua;
molti che avevan perduto lo zaino e la tela si
ricoveravano sotto quella d’un compagno e andavano
così due a due, stretti a braccetto, colle teste avviluppate;
altri, perduto il cheppì, s’era posto in capo il fazzoletto;
altri; buttato via lo zaino, portava la sua roba
in un involto appeso alla baionetta; tutti poi camminavano
a gran fatica, zoppicando e inciampando ad ogni
momento. Qualcuno di tratto in tratto si arrestava e si
appoggiava a un albero o si adagiava in terra, e si levava
faticosamente poco dopo, e ripigliava la via. Passai
sul ponte; quel ponte su cui, poche ore prima, stavan
di fronte una sentinella austriaca e una sentinella italiana
squadrandosi in cagnesco; entrai in Goito; svoltai
a destra nella strada principale.... Quale spettacolo! A
destra e sinistra della strada, sui canti, rasente i muri,
sotto le gronde, sulle soglie delle botteghe e delle
porte di casa, dappertutto soldati rifiniti dal cammino e
dal digiuno, chi in piedi colle spalle appoggiate al muro,
chi accosciato, raggricchiato, colle mani sulle ginocchia
e il mento sulle mani e gli occhi vaganti qua e là con
uno sguardo stanco e pieno di sonno; altri sdraiati e
dormienti colla testa sullo zaino; qualcuno che sbocconcellava
un tozzo di pane tenendolo stretto con tutte e
due le mani e girando intorno uno sguardo sospettoso,
come se altri minacciasse di venirglielo a strappare dai
denti; qualcun altro che riassestava gli oggetti nello zaino,