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il figlio del reggimento. 117


— E che scompiglio, figuriamoci, dev’esservi stato quella sera!... —

L’ufficiale rispose con un cenno del capo. Altro minuto di silenzio.

— E la sua divisione — interrogò con molta dolcezza il padrone di casa — a che ora, presso a poco, cominciò a ritirarsi? —

L’accento della domanda e l’atteggiamento del volto esprimevano apertamente il suo vivo desiderio di sapere come le cose fossero veramente andate, e non come le dicevano o l’avevano dette i giornali. L’ufficiale capì, e, come egli era un molto facondo parlatore, cominciò subito così:

— Se la memoria non m’inganna, la mia divisione cominciò a ritirarsi dal campo poco dopo il tramonto. I diversi corpi giungevano a passi concitati dalle diverse parti della campagna sullo stradone che mette in Villafranca; quivi le file si disfacevano, i reggimenti si mescolavano, ogni apparenza di ordine scompariva, e una turba tumultuosa si versava di corsa nella città, allagando rapidamente la via principale e la piazza e i vicoli e i cortili di gran parte delle case. Arsi dalla lunga sete, una gran parte dei soldati si slanciò ai pozzi con un’avidità rabbiosa e con certe grida di gioia selvaggia che mettevano spavento. Dieci, venti, trenta, i primi col ventre sul parapetto, gli altri col petto sulla schiena dei primi, si spenzolavano sopra la bocca d’un pozzo, co’ piedi sollevati da terra, a gran rischio di cader giù a capo fitto, e si contendevano colle mani convulse la fune, il secchio, la manovella, respingendosi l’un l’altro a colpi di gomito, a fiancate, a pedate, minacciandosi di por mano alle baionette e urlandosi nell’orecchio imprecazioni e bestemmie; finchè il secchio, tirato su da dieci braccia vigorose, cominciava a vedersi luccicare; e