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il figlio del reggimento. 115


E sorrisero pure altre due persone che si trovavano là, sedute anch’esse accanto al letticciuolo; l’una delle quali era un consigliere comunale d’un paesello vicino; l’altra il proprietario di quegli stessi terreni che il nostro reggimento occupava; due ometti di mezza età, molto gioviali, molto panciuti e, ben inteso, molto sviscerati della causa italiana; soliti a venir la sera in quella stanzuccia per istare un po’ a chiacchiera coi «valorosi» ufficiali dell’esercito italiano; gente di campagna, alla buona, cui si leggeva il buon cuore sul viso, e che ogni giorno, prima di accomiatarsi da noi, non tralasciavan mai di ripetere molto enfaticamente che con de’ soldati come i nostri la fortezza di Malghera si poteva pigliarla addirittura con un assalto alla baionetta. — Ma credano, — dicevamo noi; — la cosa non è poi tanto facile come pare a loro! — Oh! — rispondevano sorridendo con molta dignità, — lo slancio del soldato italiano.... — E compivano la frase con un gesto che voleva dire: — Eh, eh, ben altri miracoli può fare.

— Come si fa a far le ritirate? — domandò alla sua volta l’uffiziale interrogato. — È una domanda un po’....

— Vaga, — suggerì il consigliere.

— Appunto. —

Carluccio tacque e si diede a pensare qualcos’altro da domandare. Intanto il Consigliere, che era stato un momento sopra pensiero, uscì fuori a dire:

— Eppure, a pensarci su, ha da essere un gran doloroso spettacolo quello d’una ritirata.

E tacque in atto di aspettare una risposta.

— Sentano, — rispose l’ufficiale facendosi tutto ad un tratto pensieroso.

Gli altri due, presentendo un discorso lungo, avvicinarono le loro seggiole a quella del mio amico, e composero anch’essi la faccia a un’intenta serietà.