Pagina:De Amicis - La vita militare.djvu/118

110 il figlio del reggimento.

tende tutto carico di borraccie e di gamelle, rosso in viso, sudante, accompagnato da una folla di assetati, che gli si stringevano ai panni e gli facevano ressa. — Carluccio, la mia gamella; — la mia borraccia, Carluccio; — voglio prima la mia; — no, la mia, te l’ho data prima di lui; — e no, — e sì. — Ed egli a far cenno che si quetassero e a sospingerli indietro: — Uno alla volta, da bravi; fatemi il piacere; tiratevi un po’ in là; lasciatemi respirare. — E si asciugava la fronte e pigliava fiato, chè proprio gli era stanco e sfinito da non poterne più. Di quando in quando qualche soldato lo ricercava per farsi scrivere una lettera a casa, o per farsene leggere e spiegare una ricevuta. Questo favore ei lo faceva con molta gravità. Stava un momento sopra pensiero e poi diceva serio serio: — Vediamo. — Si sedevano sotto la tenda e, dopo aver molto ragionato tutti e due coll’indice teso verso il foglio scritto o da scriversi, finalmente Carluccio, rimboccate le maniche della giacchetta, si metteva all’opera agrottando le sopracciglia, stringendo le labbra e mandando fuori un suono inarticolato che voleva dire: — È un affar serio; ma via, farò tutto quel che potrò. —

Aiutava poi ora l’uno ora l’altro ad accomodare le tende, e ci aveva un garbo a tirare quelle cordicelle e a conficcare in terra quei piuoli, da far credere ch’ei non avesse fatto mai altro in vita sua.

Quando si facevano gli esercizi egli si ritraeva in un angolo del campo, e di là ci guardava estaticamente per tutto il tempo che gli esercizii duravano. Quando tutto il reggimento era schierato e faceva il maneggio dell’armi, quel povero ragazzo andava in visibilio. Quel battere sulla terra di mille e cinquecento fucili, in un colpo solo, come un solo fucile; quel lungo ed acuto tintinnìo di mille cinquecento baionette inastate, tolte,