Pagina:De Amicis - La vita militare.djvu/115


il figlio del reggimento. 107

erano sciupati del tutto in quei due o tre giorni di marcia, e gli cadevano a brani. Un cappelletto di paglia, una giacchettina e un par di calzoni di tela, una bella cravatta rossa, due scarpette ben adatte al suo piccolo piede: oh povero ragazzo, come fu contento quando gli presentammo tutta codesta roba! Pareva che non credesse ai suoi occhi; si fece rosso, voltò la testa da un’altra parte, aveva quasi il sospetto che gli si volesse fare una burla, fece molte volte col gomito l’atto di respingere da sè quell’insperato regalo, e tenne lungamente il mento sul petto. Ma quando vide che noi cominciavamo a stizzirci un poco di quella sua restìa incredulità e facevamo l’atto di andarcene dicendo: — Vestiremo un altro ragazzo; — allora alzò all’improvviso la testa, fece un passo verso di noi, accennò colla mano che ci fermassimo ed esclamò con voce di pianto: — No! no! — Ma si vergognò tosto di quel suo pregare, e chinò un’altra volta la testa e stette là immobile cogli occhi bassi e pieni di lagrime. Quando poi ebbe i suoi panni in dosso ne fu tanto imbarazzato che non sapea più nè camminare, nè gestire, nè parlare.

— Cospetto, Carluccio! — gli dicevano i soldati facendogli largo quando passava furtivamente in mezzo a loro; — cospetto che lusso! — Ed egli diventava rosso, e via di corsa.

Ma in capo a poco più d’una settimana si fe’ vispo, disinvolto e arditello come un tamburino; divenne amico di tutti i soldati della nostra compagnia e di gran parte dei soldati delle altre, e di tutti gli ufficiali del reggimento, e d’allora in poi prese a condurre una vita continuamente operosa e utile a sè ed agli altri. Dormiva sotto la nostra tenda. La mattina, al primo rullo di tamburo, era in piedi e spariva. Non eravamo ancora ben desti, che già egli era tornato dalla cucina del nostro