Pagina:De Amicis - La vita militare.djvu/108

100 il figlio del reggimento.

madri che vengono ad accomodar lo zaino sotto la testa al figliuolo pregando dentro al core: — Dio mio! fate che non sia questo il suo ultimo sonno! — Chi non ha versato una lagrima, la sera, sotto la tenda, a quell’ora?

— Vieni qua, Carluccio. —

Venne, e io lo condussi sotto la tenda conica della mia compagnia, dove m’avevano preceduto gli altri due ufficiali subalterni (il capitano era malato); due di que’ giovani pieni di cuore, che, sotto l’apparenza d’un’indole dolce e mansueta, racchiudono un’anima capace di grandi cose; di quei bravi soldati che, ignorati o indistinti dai più nelle congiunture della vita ordinaria, giganteggiano improvvisamente sul campo di battaglia, e si rivelano eroi, e fanno dire dalla gente: — chi l’avrebbe mai detto! — Gente che ama la vita soltanto per questo, che, quando occorre, si può spenderla a un buon fine.

La tenda era illuminata da una candela confitta in terra, e i miei due amici stavan seduti uno di qua e l’altro di là, colle gambe incrociate sopra uno strato di paglia che le nostre ordinanze aveano frettolosamente raccolta in una scappatella dal campo. Appena entrati, ci sedemmo anche noi e si cominciò a chiacchierare.

Carluccio teneva gli sguardi bassi e appena appena, quand’era interrogato, osava levarceli in volto un momento per riabbassarli subito dopo. Aveva ancora gli occhi gonfi e rossi dal gran piangere, e gli tremavano le mani e la voce, e quelle non sapea come muovere o dove tenere, e questa gli usciva rauca e fioca, che era una pietà a sentirlo; imbarazzato e confuso come un colpevole, povero ragazzo! A forza d’interrogarlo e di pregarlo e di fargli coraggio a parlare, riuscimmo a snodargli la lingua e a cavargli di bocca qualcosa di più particolare intorno alla sua famiglia. Poi a poco a poco