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98 il figlio del reggimento.

bino? — Ed egli rispose gravemente: — Amici per la pelle. — In quel momento sonò la tromba, i soldati s’allontanarono ridendo, ed io, comparso tutto ad un tratto dinanzi a Carluccio, gli domandai: — Ebbene? Che cosa m’hai da dire di bello? — Mi guardò, sorrise, e rispose: — I soldati mi vogliono bene. —

III.

Arrivammo al campo intorno alla mezzanotte; non mi ricordo quante miglia si fossero fatte da Padova in poi, nè in che punto, presso a poco, si spiegassero le tende. Qualche villaggio, in vicinanza del campo, v’era di sicuro; ma per quanto si guardasse in giro non appariva cima di campanile nè vicino nè lontano. Il cielo, già nuvoloso e scuro che non ci si vedeva una stella, si era fatto sereno. Il prato dove il reggimento doveva piantar le tende era tutto rischiarato dalla luna e circondato d’alberi grandi e folti, che gli facevano intorno intorno un’ombra scurissima; vi regnava un silenzio e una quiete di cimitero; era un luogo pieno di bellezza cupa e severa; e l’animo nostro ne fu in tal modo colpito che si entrò nel campo tacitamente, e tacitamente ci si schierò, guardando attoniti di qua e di là, come se ci trovassimo in un giardino incantato.

In poco d’ora si piantò il campo, si condussero i carri al loro posto, si posero le sentinelle; le compagnie si riordinarono, senz’armi, in mezzo alle proprie tende; e i sedici furieri cominciarono ad alta voce l’appello, ciascuno ritto dinanzi alla sua compagnia, con da un lato gli ufficiali e dall’altro un soldato colla lanterna a illuminargli il taccuino. Intanto Carluccio, ricondottomi