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94 il figlio del reggimento.

gli disse un mio amico, — e tu perchè non sei tornato con loro? —

E un altro: — Che cosa vuoi fare qui con noi? Dove vuoi andare? —

Egli guardò prima l’uno e poi l’altro, sempre con un par d’occhioni stralunati; poi chinò lo sguardo e tacque.

— Parla, su, di’ qualche cosa, — ripigliò un di noi scotendogli leggermente la spalla; — o che hai perso la lingua? —

Ed egli zitto, e sempre cogli occhi fissi a terra, duro e cocciuto che metteva dispetto. Tentai ancora una prova: gli presi il mento tra l’indice e il pollice, e, sollevandogli la testa dolcemente, gli chiesi:

— Che cosa dirà tua madre che non ti vede tornare? —

Alzò gli occhi e mi guardò, non più con quella cera attonita e quasi stupidita di prima, ma colle sopracciglia aggrottate e la bocca aperta come se in quel punto soltanto ei cominciasse a capire le nostre parole e aspettasse che, interrogandolo ancora, gli facessimo dire quel che aveva bisogno, e non coraggio, di dire.

— Perchè sei fuggito da casa? — gli domandai di nuovo.

Strinse le labbra, battè celere celere le palpebre, fece un moto della testa e del collo come se trangugiasse qualcosa, e mi ripiantò gli occhi nel viso.

— Ma via, ma parla una volta, dicci la cosa com’è, fatti coraggio. O che hai paura di noi? Perchè sei fuggito da casa? —

Stette muto un momento, e poi diede in uno scroscio di pianto, e tra singhiozzo e singhiozzo mormorò:

— Mi.... pic.... chia.... no!

— Oh povero bambino! — esclamammo tutti a una