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92 | il figlio del reggimento. |
certa vocina sottile e tremola, in cui si sentiva proprio il cuore: — Dio ve salva, fioi, tuti!
— Oh grazie, caro! — io dissi tra me; — possa tu essere benedetto da Dio d’ogni bene; possa non morirti mai la madre; possa tu godere ogni giorno della vita una felicità com’è questa di cui mi trabocca l’anima questa sera. Addio, buon ragazzo. —
Ma a poco a poco tutti que’ ragazzi se ne tornarono a casa, primi i più piccini e più timidi, ultimi i già grandicelli e più arditi, e nel reggimento rimasto solo si diffuse un silenzio profondo; unico rumore quello dei passi stanchi e strascicati e il monotono ticcheticche dei puntali delle baionette contro i puntali delle daghe. E si cominciava a sonnecchiare e a camminare barcollando di qua e di là urtandosi l’un l’altro violentemente come segue agli ubriachi che vanno a braccetto. Ed io sonnecchiava e barcollava più di tutti.
Tutto ad un tratto, mi sentii urtare in un braccio, mi voltai, era un ragazzo. — Chi sei? — gli chiesi, fermandomi, con una voce piena di sonno. Esitò a rispondere, dormicchiava anch’egli. — Carluccio, — rispose poi con voce bassa e tremante. — D’onde vieni? — Da Padova. — E dove vuoi andare? — Coi soldati. — Coi soldati! E sai tu dove vadano i soldati? —
Non rispose; io ripigliai: — Torna a casa, via, torna a casa; te ne sei dilungato già troppo. Chi sa tuo padre e tua madre come staranno in pensiero per te, a quest’ora. Da’ retta a me, torna a casa. — Non rispose e non si mosse. — Non vuoi tornare? — No. — E perchè? — Non rispose. — Hai sonno? — Un poco.... — Qua la mano, dunque. —
Lo presi per mano, raggiunsi la mia compagnia che era già passata oltre un buon tratto, e, pensando che il rimandarlo a casa per forza e fargli rifare tutto