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2 una marcia d'estate.

dine! — che ristabiliva momentaneamente il silenzio e la quiete. A tre, a quattro, a cinque voci assieme, si sentiva cantare qua l’allegro stornello toscano, là la patetica romanza meridionale, più oltre la canzone guerriera delle Alpi; ed altri smettere, ed altri cominciare, e mille accenti e dialetti svariati succedersi e mescolarsi. La marcia procedeva in tutto e per tutto a norma del regolamento; le file serrate, il passo franco, gli ufficiali al posto; tutto in ordine, tutto appuntino. Benone! E si andava, e si andava...

Ma — oh vedete là il second’uomo della prima fila, che comincia a perder la distanza! Adesso l’aggiusto io. Oh là! Volete serrare sì o no?... — Ha serrato.

Altri dieci o dodici passi. — Un altro. — E dàgli! Volete marciare al posto, sì o no? — Oh vedete come va quella coda! Corpo di... Animo, serriamo, laggiù; passo di corsa. — Una rapida corsa, un gran battere di borraccie sui fianchi, un rumoroso ballar di cartucce nelle giberne, una confusione, un polverio che tutto investe, che tutto copre... La coda ha serrato. — Bisogna sfiatarsi, non c’è che dire; ci vorrebbero dei polmoni di ferro. Gli è un gran brutto marciare quest’oggi... Un sole che brucia il cervello... una polvere che leva il respiro... e questa strada che non finisce mai... e questo cheppì.... Ci fosse un albero almeno! un palmo d’ombra, un po’ d’acqua! Ma niente... È un deserto questo. —

I canti che si udivano dianzi son già calati di una nota; il dialogo è un po’ meno vivo; le file un po’ meno serrate. Il comandante del primo pelottone è già alla testa della seconda squadra; il comandante del secondo è alla coda della terza. Si vede che il reggimento è in marcia da tre ore.

La via diritta è finita; comincia a serpeggiare. L’oc-