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il primo posto nella coltura letteraria dei giovani operai, e con esso e per esso debbono contrarre l’abitudine di parlare e scrivere con precisione e chiarezza degli oggetti attinenti alla loro professione.

Parrà cosa difficile coi metodi che si conoscono, e difficile sarebbe certo; ma mi pare di vedere un metodo facilissimo: mettere il fare, in luogo del dire, l’esercizio dell’alunno in luogo delle chiacchiere o dei testi o dei maestri. Qui è realmente il caso d’insegnare a scrivere in quel modo che diceva (non dicendo il vero) di saper fare il Giusti: a orecchio. Che importa un barbarismo, una virgola di più o di meno nella scrittura di un operaio, quando sia fatta con buon senso, e rilevi una pratica non isquisita, ma facile e sciolta, e quando invece delle eleganzuccie accattate dalle antologie, mostri la proprietà, forse rozza ma evidente del linguaggio dell’arte?

E per ottenere questo risultato, e che non può non apparire stupendo, è questione di esercizio e di metodo. Libri di lettura debbono essere in queste scuole i libri, che parlano all'operaio col linguaggio dell’operaio, bello più nelle cose che nelle frasi e nudo di affettazioni. Questo linguaggio egli lo comprende, e sa come gli esercizi concorrano a scolpirglielo in mente, e rendersene padrone senza troppa difficoltà. Lo senta