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dolori, ne contristano il suo spirito, ed egli ha per la sua patria quella fiamma pura d’amore che uguale sente uno sposo per la sua sposa.

Anch’io mi affanno e mi consolo al ricordo della mia Italia e per Essa il cuore mi batte forte.

Penso all’Italia e vedendo intorno a Lei, che si fa notte innanzi sera, provo presentimento angoscioso.

Spaziandomi dalle specole più attraenti del mio Paese, quali il piazzale di Michelangelo a Firenze, il terrazzo del Pincio a Roma, la cupola del Duomo a Milano, il lido della Salute a Venezia, il nostro cielo mi appare non essere più quell’incantevole padiglione che copriva la terra ai tempi di Agostino, di Dante e di Raffaello.

Quelli erano giorni nei quali l’Italia grande nella virtù, nelle scienze, nelle lettere e nelle arti era riconosciuta maestra e regina del mondo.

Ma Essa di quelle epoche auree si dimenticò e presumendo poter fare senza Dio, prova al presente il danno e la vergogna.

Dio dovea essere il nostro principio, il nostro fine; la croce, che col battesimo ci fu segnata sulla fronte e quella che è riservata a custodire le nostre ceneri avrebbero dovuto tracciare la nostra via.

Ma ohimè, che l’indirizzo avuto fu errato!

La fiamma della Fede, si affievolì, la fiamma della Speranza oscillò, la fiamma della Carità quasi si spense.