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64 | Garasco |
che cercava uno sfogo in questi proponimenti, mille altri pensieri lo turbavano. Avrebbe, così facendo, potuto godere ancora le sue soddisfazioni intime d’insegnante, ch’eran le più vive e le più pure che avesse ancor provato, e che potesse sperar di provare in vita sua? Avrebbe potuto far quello senza tradire i doveri del suo ufficio? Avrebbe avuto la coscienza abbastanza sicura? il coraggio, quando fosse occorso, di sostener quelle idee pubblicamente, in faccia al suo ispettore, per esempio? E allora lo prendeva una grande incertezza, e si ritrovava scontento degli altri, di sè, della sua professione, di tutto. In questo stato d’animo lo sorprese la festa dei premi, dopo la quale egli aveva stabilito di partire.
LA FESTA SOLENNE.
Fece le visite di congedo la mattina per non aver più che a dare delle strette di mano dopo la cerimonia, ch’era fissata per le tre, all’ora della levata di tavola del sindaco, il quale aveva invitato a pranzo una frotta di signore e di signori. Era stato addobbato per la solennità il cortile della casa comunale, un quadrato vasto, piantato d’acacie lungo tre lati, e cinto d’un muro basso. Il maestro trovò l’addobbo troppo teatrale. Sopra la porta della casa pendeva un ritratto del re in mezzo a un trofeo di grandi bandiere, la facciata era corsa a tutti i piani da larghi festoni tricolori, e si stendevano tra albero e albero delle filze di verzura con fiori di campo: un’idea del sindaco. Sopra una lunga tavola coperta d’un panno scarlatto, davanti alla porta, brillavano i premi; fra cui vari orologi d’argento, offerti da un villeggiante, che erano da vari giorni argomento di grandi discorsi. Per i ragazzi avevan portato i sedili di ferro e di legno dei giardini sindacali: i parenti sarebbero rimasti in piedi, lungo i muri. A destra era stato innalzato una specie di padiglione di frasche e di bandiere per riparare i signori dal sole; tutti gli altri dovevano arrostire.
Quando il maestro entrò coi suoi alunni, suonava