Pagina:De Amicis - Il romanzo d'un maestro, Treves, 1900.djvu/525


Visi nuovi e amici vecchi 263

come se le apparissero già lontano le migliaia di fanciulle che l’aspettavano negli anni avvenire, e a cui avrebbe consacrata oramai tutta la sua vita....

E anch’egli vedeva i suoi ragazzi, e quelli di tutti i suoi colleghi delle conferenze, e quelli di tutti gli insegnanti d’Italia, una moltitudine che copriva la vastissima campagna punteggiata di lumi, ondeggiando fin dove arrivava lo sguardo ed empiendo il cielo d’un mormorìo immenso d’oceano, milioni di piccoli visi e di piccole mani che si tendevano verso di loro, e chiedevano luce, bontà, protezione, amicizia; ed egli prometteva questo e lo giurava dal più profondo dell’anima, ingigantita in quell’ora da un sentimento di paternità che abbracciava tutta la nuova generazione della sua patria. E la sua amica doveva pensare alle stesse cose: essi si guardavano tratto tratto, e pareva che si scambiassero il doppio ordine di pensieri e di sentimenti che li agitavano: e finiron a conversare in quel modo, senza staccar lo sguardo l’uno dall’altro, accendendosi a vicenda in quella grande immaginazione dell’infanzia, e nei loro piccoli ricordi comuni, e nella speranza d’una vita nobile, utile e felice, piena di lavoro e d’amore. Quando il treno arrivò, le loro labbra tremavano, i loro occhi avevano una lagrima, le loro anime traboccavano e si cercavano. Le centinaia di maestri saltaron giù dai vagoni, gettando un ultimo grido d’evviva, ed essi rimasero un momento soli. Tutti e due a un punto si guardarono intorno, misero tutti e due insieme un Ah! profondo, come se dalle loro bocche fuggisse l’anima, e si scambiarono un bacio disperato. Poi saltaron giù ed arrivarono ancora in tempo a veder la testa bianca del provveditore, il quale dal montatoio del vagone rivolgeva un ultimo addio alla folla ondeggiante, tendendo il braccio verso Torino, nell’atto vigoroso d’un generale che sguinzagli l’esercito alla battaglia.


FINE.