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Visi nuovi e amici vecchi | 261 |
tato da una parte i lavori delle alunne, dall’altra quelli dei ragazzi, e mangiato insieme tutti i giorni il pane onestamente guadagnato, e una finestra alla quale si sarebbero affacciati l’uno accanto all’altro, le sere di primavera, dopo una giornata di fatiche, e dove, udendola parlare di suo padre e delle sue bimbe, egli avrebbe potuto osservare uno per uno, per delle ore, gli infiniti movimenti dolci, infantili e risoluti della piccola bocca, che espandeva in parole così nobili e sensate l’anima sua.
Una volta, però, fu distratto violentemente da quei pensieri, e fu alla chiusa dell’ultima conferenza, quando pronunziò un discorso d’addio il provveditore MegàriFonte/commento: normalizzo. Le ultime parole ch’egli disse, col sentimento vigoroso e l’accento squillante dei suoi anni migliori, risonarono nel silenzio profondo della chiesa affollata, come le benedizioni ispirate d’un sacerdote — ....Ritornino a casa i giovani rianimati dall’esempio di tanti vecchi che tengono ancora alta con vigor giovanile, dopo mezzo secolo di fatiche, la bandiera della scuola, e i vecchi, riconfortati dalla vista di tanta gioventù che si prepara con nuovo animo e nuovi studi a seguire l’esempio loro. Tornate all’opera vostra, o giovani maestre, a cui la patria ha commesso il santo ministero di madri dei suoi figliuoli, di nutrici delle sue più care speranze. Tornate tutti al nobilissimo ufficio di seminare ogni giorno nel vostro paese un sentimento generoso e un pensiero benefico. A voi non solamente l’ufficio di sradicare l’ignoranza e le superstizioni; ma quello di confortare la povertà, di rallegrare l’infanzia che non ha carezze, di tener viva la speranza d’un miglior avvenire nel popolo; a voi di mandare per mezzo dei fanciulli una parola di pace nelle famiglie discordi, il richiamo dell’affetto ai genitori che non amano, la voce della patria ai suoi nemici o ai suoi figli incuranti. Tornate con animo risoluto a difender la dignità del vostro ufficio, a sopportare le ingratitudini, a resistere alle inimicizie e alle persecuzioni immeritate, forti di questo pensiero, che la più grande felicità concessa all’uomo è quella che vien dalla coscienza di far del bene senza compenso, e che nessuno ne può far più di voi; che ogni ora del vostro lavoro ignorato è un benefizio all’umanità; che il più povero, il più incolto, il più oscuro