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Visi nuovi e amici vecchi 255

cosa scrivendo discorsetti, poesie e brindisi di commissione, e con questi suoi miracoli di operosità, e lesinandosi il pane, manteneva tre sorelle. Un altro originale era un maestro di campagna, al quale avevan messo il soprannome di Cesare Cantù, perchè rassomigliava a questo moltissimo; a parte l’espressione dell’ingegno. La sua virtù principale, anzi unica, il suo conforto, la gloria della sua vita era una facoltà visiva di straordinaria potenza, ed egli era venuto alle conferenze per farne pompa. E ne dava saggio da per tutto, per le strade leggendo insegne di botteghe a grandi distanze, nei caffè leggendo i giornali a dieci passi, a desinare, facendo tirar fuori dai commensali lettere e biglietti di visita, che leggeva da una parte all’altra d’una lunga tavola, con un occhio solo, con gli occhi socchiusi, tentennando il capo, guardando il foglio di sbieco, in tutte le maniere. A ogni proposito tirava il discorso sulla vista per dare accademia, e, come di ragione, attribuiva a questa facoltà un’importanza massima anche nell’insegnamento; tanto che nei suoi ragazzi educava in special modo, anzi quasi unicamente, la vista. Aveva per sentenza — La vista è tutto! — e la sosteneva con una grande quantità d’argomenti, preparati di lunga mano: — Che cosa sarebbe l’astronomia senza la forza della vista? E la paleografia? E l’orologeria? E la miniatura? E tutte le arti di precisione? Che cosa è un soldato senza dei buoni occhi? E che cos’è senza una vista acuta un agente di polizia, un giudice, un diplomatico, che debbono osservare i più piccoli movimenti delle fisonomie, per indovinare i pensieri e i sentimenti nascosti? — Per lui la scienza educativa della vista era ancor nelle fasce, tutto rimaneva da fare, e parlava di scuole e di istituti appositi che si sarebbero dovuti aprire, e di biblioteche di manuali e di trattati che si avevan da scrivere. C’era in fine il più ameno di tutti, un piccolo prete dalle gambe arcate e dalla faccia torta, con certi capelli grigi e irti che parevano spilli, uno spirito vivacissimo e arguto, autore di quasi tutti i soprannomi lepidi che erano in corso, sempre leggermente brillo e saltellante come un Figaro, imitatore abilissimo di voci e di gesti, e cantatore di canzonette francesi, che aveva imparate da ragazzo in Savoia. Al solo vederlo scoppiava l’ilarità da