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Visi nuovi e amici vecchi 253

soprannomi che tutti ripetevano: la regina di Saba, a una maestra di quarant’anni, vestita teatralmente, con certi galloni d’oro sul petto; il pastorello d’Arcadia a un oratore mellifluo; a un altro Napoleone il Grande; Confucio, ad uno che aveva citato parecchie volte le scuole elementari chinesi. Tutta quella gente s’era rimescolata: le brigate del giorno dell’arrivo s’erano in gran parte disfatte, e se n’eran formate delle nuove, seguendo l’età, l’indole, le simpatie; gruppi di vecchi e di vecchie; drappelli di maestrine e di maestri di vent’anni, ai quali grillava il cuore e il cervello; conciliaboli di ragionatori perpetui; comitive allegre che andavano a far colazioni e merende per i colli circostanti, e ritornavano in città la sera canterellando, con dei fiori all’occhiello. E ciascuno conformava il suo modo di vita alle condizioni della propria borsa. Molti insegnanti di campagna facevano i loro pasti con un po’ di pane e frutta e dormivano nei letti messi a loro disposizione dal Municipio in scuole e luoghi pii, in maniera da poter ancora riportare a casa dieci o dodici lire delle venticinque che eran loro assegnate. Gl’insegnanti cittadini, invece, invadevano i caffè e le trattorie, dove ferveva un’allegria rumorosa fino ad ora tarda. E qui il Ratti passava la sera per studiare fin d’allora i suoi futuri colleghi di città, non potendo però seguire mai il filo d’un discorso in quella tempesta di voci, in cui risonavano mille volte le stesse parole: — ordine del giorno — chieder la parola — protesta — proposta — programmi — asinerie. Veramente, a lui sarebbe piaciuto che certe sue colleghe non parlassero tanto forte per far sentire la bella frase e la bella pronunzia; certe arguzie che sentiva, gli parevan freddure trite di collegiali; e lo urtavano gli sguardi di disprezzo che certe maestre eleganti lanciavano alle maestre rozze, le quali pure si facevano in là con atto ossequioso per ceder loro il posto, e le stavano a sentire con ammirazione, altere, si vedeva, e confuse insieme d’esser colleghe di quelle signorine così ben vestite e così colte. Ma pensava poi a quanto era costato a quelle povere ragazze quel po’ di posto a Torino per cui si pavoneggiavano. Che dura trafila, Dio buono! Tre anni di scuola normale, due anni di servizio di tirocinio, fra i diciott’anni e i venti, gra-