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A Torino | 241 |
dotto liscio e sottile, dopo averci lavorato su lungo tempo. E notando lo stupore del maestro: — Si ricorda, — gli disse, — delle mie profezie sulla partecipazione agli studi della gioventù della campagna? Che cosa ne dice di questo campione? — Il Ratti cominciò un complimento, e l’interruppe per timore di veder apparire sul viso del giovane un’espressione di vanagloria; ma non vedendone il minimo segno, lo riprese e lo finì, senza che quegli mostrasse d’accorgersi ch’era diretto a lui. Spiacque al Ratti quell’impassibilità. Egli indovinava in quel giovane il vigore selvaggio dell’ambizioso senza cuore, che comincia dalle scuole a trattare i compagni come concorrenti, a farsi largo a spintoni senza voltarsi a guardare chi gli cade al fianco, calpestando chi gli stramazza davanti, deridendo chi gli rimane di dietro, avido soltanto di tutto quello che è invidiato e cercato da altri, e non frenato da null’altro al mondo che dal timore di perdere un palmo del terreno conquistato; e sentiva per lui una così viva ripugnanza, che, dopo fattogli quel complimento voluto, non trovò neppure nei ricordi comuni d’Altarana di che rivolgergli una parola di più. E pensò con piacere, paragonandosi a lui, dopo uscito da quella casa, che egli pure era ambizioso, che aveva egli pure fin dall’infanzia aspirato a levarsi in alto e consacrato tutte le sue forze a quel fine; ma che, grazie al cielo, era certo in cuor suo che avrebbe combattuto la lotta per la vita come si combatte in un duello di gentiluomini, e non come in una mischia di predoni, e che pur lottando e difendendosi, e anche assalendo quando fosse occorso, avrebbe amato, compatito, aiutato, veduto sempre davanti a sè, all’orizzonte, qualche cosa di più grande che la propria ambizione. E interrogando ancora la propria coscienza, mentre saliva sul treno, fu contento di poter accertare a sè stesso che a qualunque altezza fosse arrivato il suo antico alunno, egli non l’avrebbe nè adulato nè invidiato mai.