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240 | A Torino |
che vili! — Il Ratti passò allegramente la serata con lui, facendo disegni di vita comune per quando sarebbero stati insieme a Torino, e poichè il Lérica aveva trasportato i suoi penati ai Tre piccioni, ebbero la sera dopo il piacere di ricevere tutti e due insieme da tanto d’usciere gallonato la lettera solenne con cui l’assessore annunziava loro il buon esito degli esami e la loro prossima nomina a Torino “dopo la prima radunanza della Giunta„.
Prima di partire, il Ratti andò a portar la buona notizia all’avvocato Samis. Questi si congratulò con lui, e gli assicurò che ne sarebbe stata molto contenta anche sua moglie. Poi, dicendogli: — le faccio una sorpresa, — aperse l’uscio della stanza accanto, e il maestro vide venire avanti un giovanotto sui diciotto anni, che riconobbe subito per il suo antico alunno Genèri, il piccolo innamorato della maestrina Vetti. Eppure, tutto era mutato in lui: nessuno avrebbe sospettato, neppur vagamente, l’origine sua. Vestiva con garbo, s’era fatto più alto del suo mecenate, e tarchiato, e dagli esercizi ginnastici e dalla scherma aveva acquistato nelle mosse e negli atteggiamenti una scioltezza e quasi una grazia affatto nuova. Solo dell’antico viso gli restava tutto ciò che esprimeva l’ambizione, la risolutezza, la costanza, l’audacia, un animo e una mente fatti dalla natura e temprati dalla volontà per tutte le lotte della vita, senza sentimento nè bisogno alcuno d’affetto e di dolcezza. Egli tese la mano al maestro con un fare da eguale, sorridendo, non tanto a lui, quanto alle memorie che la sua presenza gli ridestava, e gli disse con voce fredda quattro parole che parve volessero esprimere un ringraziamento: — Ah!... mi ricordo sempre; — poi prese a giocare con un tagliacarte. Il maestro osservò le sue mani che serbavano sul dorso un poco dell’arsura antica del sole, e avevan le dita larghe all’estremità. Nessun’altra traccia gli rimaneva della vita dei campi. Parlava il dialetto torinese dei signori, si capiva da tutto ch’egli s’era trasformato in ogni cosa e avvezzato alla vita e ai modi della nuova classe in cui l’avevan trapiantato. E l’avvocato pareva che guardasse con compiacenza, benchè senza tenerezza, l’opera sua, come il piallatore guarda l’asse ri-