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A Torino 239

quegli si voltò, il Ratti gli lesse in viso che tutto era andato bene. — Sì, tutto è andato bene — , rispose il Lérica alla sua domanda, fregandosi le mani. Ma cambiò subito faccia. — Figurati però — gli disse — che mancò poco che fossi stiacciato per causa di quell’accidente del professore Alati, che mi tirò a imbrogliare. — Lui e il professore s’eran presi a parole a proposito della popolazione di Pechino. Il maestro aveva detto “due milioni d’abitanti„; e il professore s’era messo a ridere osservando che due milioni non potevano essere, dacchè Pechino non aveva un maggior circuito di Parigi, dove due milioni d’abitanti sono ammontati, e là c’eran dei grandi spazi spopolati quasi, come la città imperiale, gli stagni enormi, ecc. Il maestro aveva ribattuto che quella cifra era in quasi tutti i trattati di geografia per le scuole. L’altro gli aveva risposto: — Non s’impazienti! — e lui: — Non m’impaziento! — e quegli: — La smetta.... — Insomma — disse il Lérica — si vede che il mio muso non gli piaceva, e cercò di impiccarmi nella capitale della China, il birbone; ci fu un momento che mi vennero i fumi, e vennero anche a lui; ci siamo accozzati bene, davvero. Basta, io spero d’essermela cavata, e che tutto sia finito. — E allora fu preso da un accesso d’allegria rumorosa, che finì però, come sempre, in una scarica d’imprecazioni. — Ah! è finita, sì — gridò col pugno teso verso le Alpi che si vedevan dalla porta della locanda — è finita con quei letamai di paesucoli, con quelle stalle di scuole e quei vaccari di sindaci che m’hanno fatto mangiar pane e veleno per dieci anni! — Ed era tempo che finisse. Ora non voleva neppur più degnare d’un pensiero quell’indecente passato, e non potendo perdonare ai farabutti che gli avevan fatto delle porcherie, voleva almeno cercare di dimenticarli. Ma purchè non gli fossero mai ricapitati tra i piedi, intendiamoci! Guai se uno di quei musi gli si fosse parato davanti a Torino allo svolto d’una cantonata. Oh! non avrebbe fatto scandali, nemmen per idea. Avrebbe soltanto sollevato l’uomo delicatamente, con due dita sotto il mento, e l’avrebbe deposto un po’ più in là, senza fargli male, dicendogli: — Abbia pazienza: lei e Carlo Lérica non possono camminare sullo stesso marciapiede. — Ah!...