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238 | A Torino |
i maestri riconosciuti idonei nei lavori in scritto erano tre soltanto, e che il Lérica era fra questi. Andò agli esami verbali di buon animo. Eran chiamati a tre per volta nella sala della palestra ginnastica, e successivamente a due tavoli, a un dei quali sedevano il presidente e uno dei membri della commissione, all’altro gli altri quattro. Egli fu chiamato con due maestre. Al primo vedere quei sei visi di giudici che si voltarono verso di lui, al pensare che poteva perdere là in pochi momenti il frutto delle fatiche di tanti anni, provò la commozione violenta del figliuol di famiglia che s’avvicina per la prima volta a un tavolo da gioco. Chiamato a un tavolo, andò a un altro, dovette ritornare al primo; vide le sue due pagine aperte davanti a uno degli esaminatori, e non capì le prime parole che questi gli diresse: poi sentì all’improvviso un grande sollievo: eran dei complimenti. E allora gli entrò un grande coraggio, quella specie d’ebbrezza lucida che in altre occasioni l’aveva soccorso, quasi un raddoppiamento di tutte le facoltà, che gli veniva dall’ambizione, dall’orgoglio, dal cuore, dal ricordo degli sforzi vittoriosi che aveva fatti nei primi anni dei suoi studi, da un’immagine di sè che vedeva in un’aula immaginaria d’Università, in atto di rispondere trionfalmente alle domande d’una commissione che lo doveva laurear dottore in belle lettere. E gli parve d’aver accanto un amico invisibile, l’ombra del Megári, che gli suggerisse le risposte. E rispose bene. Fu stupito quando gli dissero: — Vada pure. — Credette che avessero sbagliato: quei tre quarti d’ora gli eran parsi dieci minuti. E uscì tranquillo. Ma gli prese la frenesia alle gambe appena uscito, al veder il sole e la gente, e girò per le strade di Torino, senza meta, con un piacere inesprimibile, pensando già a tutti quegli anni passati nei villaggi come a un periodo remoto della sua vita, e alle persone che v’avea conosciute, come a larve d’un sogno. E si trovò all’imbrunire, quasi sorpreso dalla notte, davanti alla locanda dei Tre piccioni. Entrando in cucina, vide le spalle di Lérica, che discorreva col padrone.
Non avendolo visto ai verbali, rimase un po’ perplesso, per timore che avesse fatto fiasco. Ma appena