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232 A Torino

non ebbe più che e a trascrivere il suo lavoro, non potè trattenersi dall’osservare la compagnia e in particolar modo le maestre. Non restavano più che due ore. E cominciava a diffondersi una certa inquietudine fra quelle che lottavano ancora con difficoltà di concetto, e alcune, che a un certo punto, riconoscendo d’aver sbagliato il tema, avevan ricominciato da capo, e le scribacchione solite, che per aver dato troppa ampiezza al lavoro, temevano di non poterlo più finire. Tutte queste lavorarono in furia, lanciando tratto tratto delle occhiate supplichevoli al soffitto e pestando i piedi; parecchie sbocconcellavano in fretta un po’ di pane, nascondendo la bocca con la mano sinistra. Altre scrivevano furtivamente dei bigliettini che facevan passare sotto il banco alle vicine; e il movimento delle penne s’andava accelerando di minuto in minuto, come se scrivessero tutte sotto la dettatura d’una persona agitata da una impazienza crescente. Quando poi le prime diedero la pagina fatta, col nome suggellato, ed uscirono, crebbe, come sempre segue, l’affanno delle altre, e andò crescendo man mano che scemava il numero. Varie eran pallide, altre avevano il viso acceso, e si asciugavano il sudore. Anche di quelle che eran venute messe con più ricercatezza, non ce n’era più alcuna che mostrasse di badare ai capelli scarmigliati alle mani o al vestito macchiato d’inchiostro. Ce n’erano tre o quattro che pigliavan tratto tratto degli atteggiamenti di stanchezza e di scoraggiamento profondo. Ed era ben naturale, poichè alcune era la terza o quarta volta che si presentavano agli esami, e dalla riuscita dipendevano degli interessi gravi della loro famiglia, oltre che avevano impegnato il loro onore intellettuale in faccia alla parentela e alle amiche. Quando si fu agli ultimi momenti, e uno dei due professori assistenti disse queste terribili parole: — Si spiccino, signorine! — si videro degli alti di sgomento e di dolore da far veramente pietà. L’ora fatale era scoccata, e c’era ancora una diecina che lavoravano. Un vecchio professore d’università, un po’ nervoso, andava dicendo: — Le pagine, signorine! Le pagine come si trovano! — e girava fra i banchi cercando di farsele dare; un altro, professore alla Scuola Margherita, tentava di far lo stesso, più dolcemente. Ma le