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A Torino 231

beri del giardino battuti dal sole, dando al luogo e alla folla un aspetto d’allegria e di festa, molto discordante dall’espressione grave di tutti gli occhi, e dal fremito sordo, inquieto, febbrile che empiva l’aria.

Nel camerone di sopra eran stati disposti i banchi per i maestri, e dietro a questi, a una certa distanza, altri per una trentina di maestre, che non potevan più entrare di sotto. Quando il Ratti entrò, tutte le maestre eran già sedute. Dei maestri non mancavano che due o tre: eran tutti giovani al di sotto della trentina. Un vecchio bidello intabaccato faceva la guardia alla porta della scala. Due professori della commissione andavano e venivano, raccomandando agli esaminandi di far presto a mettere in ordine le loro carte. Il Ratti aveva appena messo in ordine le sue, quando, nell’alzar gli occhi verso la porta, mise un’esclamazione di stupore. Entrava Carlo Lérica.

Appena entrato si soffermò, girando un’occhiata torva sui banchi, e, visto il Ratti, sorrise, gli andò a stringere la mano e gli si mise accanto. Ma era ancora tutto fremente per un tu per tu avuto con quel villan con l’effe del bidello di sotto, che gli aveva voluto levar di tasca un pezzo di Gruiera involtato nella carta, credendo che fosse un libro. — Caro il mio Ratti, — soggiunse poi a bassa voce, — ne ho passate delle altre!.... Un porco paese!.... — Ma si dovè interrompere perchè entrava l’assessore, con altri quattro membri della commissione, a leggere il tema. Nel momento che l’assessore apriva la busta, entrarono a gran passi tre maestre in ritardo, tutte trafelate e mezze morte dalla paura, chiedendo scusa e compassione, e corsero ai loro banchi, dove si lasciaron cadere spossate, con le mani sul cuore.

Il tema era di pedagogia: — Un maestro assegna i limiti dei programmi didattici per la 1a, 2a e 3a classe e dice quale metodo osservi per insegnare proficuatmente agli alunni la lingua italiana.... — Appena l’assessore ebbe finita la lettura, si sentì una grande ondata di mormorii, di sospiri e d’esclamazioni sommesse, come dopo la lettura d’una sentenza in una corte d’assise affollata; e poi seguì un silenzio profondo.

Il Ratti lavorò tranquillamente fino a mezzogiorno senza nulla sentire e vedere intorno a sè; ma quando