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Solitudine | 41 |
cora avere, glielo tolse una breve conversazione che fece con essa una mattina, incontrandola sola per la campagna dov’era caduta nella notte la prima fiorita di neve. La ragazza, soffermata in mezzo alla via, stava pigliando delle note col lapis sopra un quadernetto.
— La signorina, — le disse egli levandosi il cappello, — sta componendo.
— No, — rispose essa con franchezza, — non compongo mai passeggiando. Segno dei pensieri, così per non dimenticarli; una, due parole; non di più.
— Un giorno, però, ci farà gustare qualche cosa.
— Oh! — rispose, scrollando il capo, — siamo ancora ben lontani da quel giorno!
— Conta dunque di non dar mai nulla alle stampe?
— Mai, non dico; ma no per un bel pezzo, senza dubbio. È una mia idea, di non pubblicare nulla prima dei ventinove anni.
Il maestro sorrise. — Lei diffida troppo del suo ingegno. Perchè mai ha fissato proprio il numero ventinove? se non è indiscrezione domandarlo.
— Questo è un mio segreto.
— Qualcheduno glie lo ruberà, e l’obbligherà a pubblicare prima.... con un nome di più.
— Non c’è questo pericolo.
— Perchè?
Tacque un momento; poi disse: — Perchè non amerò mai.
— Ne è proprio sicura? Come può dire questo alla sua età?
— È un voto fatto.
— È strano. Ed ha anche fatto voto di non dirne a nessuno il motivo?
La maestra fissò gli occhi per terra, come assorta in un pensiero, e poi disse sentenziosamente, con un sorriso che voleva esser finissimo:
L’arte che tutto fa nulla si scopre.
Per conto suo egli l’aveva scoperta abbastanza.