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A TORINO.


A Torino, fra quell’andirivieni d’affaccendati che salivano e scendevano per le scale del municipio, dove andò a domandare il giorno e il luogo degli esami in iscritto, il Ratti perdette tutt’a un tratto la bella fiducia con cui era partito da Bossolano, come se tutta quella gente che si sentiva brulicare intorno da ogni parte fossero altrettanti maestri concorrenti, che avessero studiato più di lui; e quando si trovò solo la sera in una cameruccia dell’albergo dei Tre piccioni, che dava sopra un cortile sporco ed oscuro, gli parve che avrebbe fatto meglio a rassegnarsi per sempre alla vita tranquilla del villaggio. Ma la mattina dopo si svegliò con una buona idea: d’andar a cercare nel suo quartiere di via della Zecca l’avvocato Samis, che non vedeva da tre anni; non solo perchè era certo che la sua compagnia l’avrebbe rinfrancato, ma anche per la speranza d’ottenere, senza chiederla, una sua raccomandazione, perchè avea inteso che le raccomandazioni, in quegli esami, cadevano fitte e facevan fiorire il terreno come la pioggia di primavera. Ed ebbe la fortuna di trovarlo ancora, diventato un po’ più grasso e un po’ più grigio, e con gli occhi rimpiccioliti; ma cordiale e vivo come sempre. La signora era già in campagna. Il giovanetto Genèri aveva ottenuto con onore la licenza delle scuole tecniche, e stava per entrare nell’Istituto. Ad Altarana non c’era nulla di

Il romanzo d’un maestro. — II. 15