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Piccoli personaggi 201

pocrisia infantile. Era un ragazzo di sette anni appena, dall’aspetto d’un putto del Murillo, con due occhi che parevan gli occhi dell’innocenza; il quale lo menò pel naso per tre mesi interi, ammontando invenzioni sopra invenzioni per scusarsi di non aver fatto il lavoro di casa. Veniva una volta con una mano fasciata e con la faccia spaventata, a raccontar con molti particolari in che maniera era caduto e s’era ferito, arrischiando la vita, e ripeteva le parole di consolazione dei suoi parenti e le cure prescritte dal medico. Un’altra volta aveva dovuto dare una mano al padre e alla madre per trasportar dei mobili da una camera all’altra, a cagione d’un principio d’incendio, che aveva fatto i tali e tali danni, e che era stato soffocato in tempo dai vicini, le tali e tali persone, che avevan detto questo e quest’altro. Eran stati un altro giorno tutti sossopra in famiglia per via di suo padre, ch’era scivolato giù da una scala, rompendosi quasi una gamba, per inseguire un ladro, il quale s’era introdotto di notte con un cerino in un ripostiglio dove tenevan roba da mangiare; ma vistolo una vicina da una finestra di rimpetto, s’era messa a gridare, e il ladro, fuggendo, aveva perso il berretto, un berretto così e così. Ed eran tutti fatti complicati e drammatici, raccontati con una tal minutezza, e con una così franca disinvoltura, e resi così credibili dall’espressione del viso e del gesto, che l’uomo più diffidente del mondo ci avrebbe creduto. E non c’era ombra di vero!

C’era un altro originale in tutto diverso, il quale s’ostinava a voler stabilire fra sè e il maestro, al disopra dei propri compagni, una specie di dimestichezza fraterna, scendendo ogni momento dal banco per andargli a chiedere un consiglio all’orecchio, facendogli delle confidenze di famiglia, cercando sempre di accompagnarglisi dopo la scuola, come se avesse da discorrergli di cose che riguardassero loro due soli. Si dava quasi con lui un’aria di protezione affettuosa: gli ripuliva il tavolino prima che entrasse, rimproverava ostentatamente i compagni che facevan chiasso: gli portò una volta della farina di gran turco, rubata in casa. E per quanto il maestro lo facesse in là, egli tornava ad appiccicarsi; fingeva coi compagni d’aver da lui delle commissioni confidenziali, che non poteva dire; arrivava perfino, in presenza di tutti,