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198 | Bossolano |
stasse per via di discorso, il fatto narrato dal giornale, la discussione intesa a frullo, il fenomeno naturale osservato per caso, tutto era subito afferrato da lui, elaborato, convertito in materiale di lezione. Il Ratti si domandava alle volte, udendolo e guardandolo, se non ci fossero davvero degli uomini che nascono maestri, come si dice che nascono i poeti. Nè la sua figura soltanto era d’un maestro: i suoi atti, il suo modo di maneggiare un libro, di piegare un foglio, d’intinger la penna, tutto era, anche fuori di scuola, esemplare, come s’egli facesse ogni cosa col proposito d’insegnare a farla bene. E andando più innanzi nella conoscenza di lui, il Ratti si persuase che il suo ammirabile zelo nell’insegnamento non derivava nemmeno, come seguiva in altri suoi colleghi, da un altissimo concetto ch’egli avesse del suo ufficio di apostolo di civiltà e di rigeneratore del mondo. Di queste grandi cose egli non parlava: non usciva mai nei suoi discorsi e nemmeno, pareva, nel suo pensiero, dalla ristretta cerchia che gli segnavano i suoi programmi e il suo dovere. Quello che lo moveva non era proprio altro che la passione dell’adempimento del dovere, il desiderio del frutto immediato e modesto delle sue fatiche, l’amor vivo di tutti i particolari della sua professione, della giornata operosa, della coscienza netta, dell’ordine nelle cose e nella vita, la soddisfazione di esercitare con vantaggio le proprie facoltà nel lavoro a cui le sentiva indirizzate dalla natura, in un piccolo mondo intellettuale, oltre il quale non aveva forse mai spinto un desiderio neppur da giovinetto, e dove si ritrovava ogni giorno più vicino alla perfezione e più contento di sè e degli altri.
Neppure sugli interessi generali della sua classe non apriva mai bocca: a vedere la parsimonia spartana con cui vivevano, lui e la sua famiglia, si capiva che lo stipendio gli era sempre bastato. Doveva anzi, da giovane, averne avuto d’avanzo, poichè, avendo un piccolo difetto di balbuzie, conseguenza d’una grave caduta fatta da ragazzo, era andato a Torino a sue spese a farselo correggere alla scuola dei balbuzienti del dottore Chervin; e più tardi, quando gli era toccato un sussidio inaspettato, aveva comperato uno stereoscopio, che serbava ancora, per uso