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BOSSOLANO.
NELLA FARMACIA.
Poichè era risoluto di concorrere l’anno dopo a un posto a Torino, e quasi considerava come finito il suo pellegrinaggio di maestro rurale, il Ratti si presentò in fin di settembre a Bossolano con molta indifferenza, non stimolato neppure da quella curiosità del primo aspetto dei luoghi e delle persone, con la quale era arriviato negli altri quattro comuni. Eppure era forse questo, per ogni rispetto, il più curioso di quanti villaggi aveva conosciuti, ed egli vi sarebbe entrato con allegrezza se avesse saputo avanti quale compagnia e che maniera di vita l’aspettava.
Il villaggio, posto in aperta pianura, era quasi tutto formato da una sola grande piazza a rettangolo, nella quale, con un giro dello sguardo, si ritrovava ogni cosa: la chiesa, l’albergo principale, la spezieria, l’ufficio dell’esattore, la pretura, il Caffè dell’Amicizia, la casa comunale con su scritto a enormi caratteri Scuole maschili, e la caserma minuscola dei carabinieri, che aveva quasi sempre per insegna due cinturini imbiancati di fresco, spenzolanti dalla finestra. Pareva che tutte le istituzioni e tutte le autorità si fossero disposte in quel modo per invigilarsi a vicenda. Nel mezzo v’era un piccolo lavatoio pubblico, coperto da una tettoia. Dai due lati opposti della piazza, fiancheggiato da poche case, fuggiva tra il verde dei campi lo stradone provinciale, appuntando di qua e di la all’orizzonte lontano i vertici di due sterminati triangoli bianchi.