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124 Camina

baleni, qualche volta anche nella scuola, s’egli l’aveva incontrata prima d’entrare. E questo ribollimento ch’ei risentiva andò fino al punto, che un giorno si tradì. Stava discorrendo con lei della prossima venuta dell’ispettore, sull’uscio d’un giardinetto di casa sua, e fissava da qualche minuto la bella mano con cui essa afferrava e quasi tentava la forza di resistenza d’una delle spranghe di ferro del cancello, quando, senza che il discorso lo portasse in nessuna maniera, un complimento dozzinale, chiarissimo, stupido, che gli s’aggirava da un po’ sulle labbra, gli scappò tutt’a un tratto, lasciandolo stupito della propria sciocchezza e della propria audacia. La maestra lo guardò con attenzione, e indovinato dal suo viso che quelle parole non esprimevano soltanto il grillo d’un momento, ma un ordine di pensieri abituali, e forse un proposito e una speranza, gli rispose tranquillamente, squadrandolo da capo a piedi: — Faccia l’esercizio coi manubri.


ALTRI PARIA.


Il colpo fu duro, e lo fece fremere per vari giorni di dispetto e di vergogna; ma produsse il buon effetto d’un ferro rovente sopra una piaga. L’orgoglio offeso soffocò la voce dei sensi, e quando quello tacque, egli si ritrovò libero. Anche servì a distrarlo da quel pensiero la visita inaspettata d’un suo collega d’una borgatella dei monti, del quale fin dai primi mesi gli era già arrivata la fama d’improvvisatore di versi in dialetto. Costui gli si presentò da sè per pregarlo di stendergli una domanda di sussidio al Consiglio scolastico, fondata sopra una tal quantità di ragioni che ci sarebbe voluto una giornata a scriverne mezze. Era una figura di vecchio mago, zoppo, con gli occhi sempre stralunati e con i capelli grigi lunghissimi; il quale gli parlò in lingua italiana, forse per stornare il sospetto che non la sapesse; ma con un vizio strano di pronunzia, che, quando parlava spedito, gli faceva scambiar le finali di tutte le parole: diceva: un grosse affaro, una false deposiziona. Egli disse che si voleva far comporre il ri-